War Made Easy: How Presidents & Pundits Keep Spinning Us to Death
War Made Easy brings to the screen Norman Solomon’s insightful analysis of the strategies used by administrations, both Democratic and Republican, to promote their agendas for war from Vietnam to Iraq. By familiarizing viewers with the techniques of war propaganda, War Made Easy encourages us to think critically about the messages put out by today’s spin doctors – messages which are designed to promote and prolong a policy of militarism under the guise of the „war on terror.” Based on the book by the same title.
War Made Easy reaches into the Orwellian memory hole to expose a 50-year pattern of government deception and media spin that has dragged the United States into one war after another from Vietnam to Iraq. Narrated by actor and activist Sean Penn, the film exhumes remarkable archival footage of official distortion and exaggeration from LBJ to George W. Bush, revealing in stunning detail how the American news media have uncritically disseminated the pro-war messages of successive presidential administrations.
War Made Easy gives special attention to parallels between the Vietnam war and the war in Iraq. Guided by media critic Norman Solomon’s meticulous research and tough-minded analysis, the film presents disturbing examples of propaganda and media complicity from the present alongside rare footage of political leaders and leading journalists from the past, including Lyndon Johnson, Richard Nixon, Defense Secretary Robert McNamara, dissident Senator Wayne Morse, and news correspondents Walter Cronkite and Morley Safer.
Norman Solomon’s work has been praised by the Los Angeles Times as “brutally persuasive” and essential “for those who would like greater context with their bitter morning coffee.” This film now offers a chance to see that context on the screen.
73 minutes
2007
Directed & Written by: Loretta Alper & Jeremy Earp
Narrated by: Sean Penn
Based on the book by Norman Solomon
Click here to download the full transcript of the film (PDF).
“A superb visual form of investigative journalism.” —Howard Zinn, historian
“Compares the propaganda techniques of the past with the present, and draws striking parallels.” —Inter Press Service
Norman Solomon quotations from War Made Easy:
„Rarely if ever does a war just kind of fall down from the sky. The foundation needs to be laid and the case is built, often with deception.”
„The war propaganda function in the United States is finely tuned, it’s sophisticated and most of all it blends into the media terrain.”
„Routinely the official story is a lie, or a deception, or a partial bit of information that leaves out key facts. The official story about the Gulf of Tonkin was a lie.”
„Whether we are talking about President Johnson or President Nixon or the President today, you have one chief executive after another in the White House saying how much they love peace and hate war.”
„If you’re pro-war you’re 'objective,’ but if you’re anti-war you’re 'biased.’ And often a news anchor will get no flak at all for making statements that are supportive of a war and wouldn’t dream of making a statement that’s against a war.”
„The sources that have deceived us constantly don’t deserve our trust, and to the extent that we give them our trust we set ourselves up to be scammed again and again.”
„After the fact, it’s all well and good to say well the system worked or the truth comes out. But when it comes to life and death the truth comes out too late.”
Norman Solomon – speech at the University of California Santa Barbara, October 1, 2005:
Media critic Norman Solomon discusses pro-war propaganda generated by U.S. governments during military operations and the influence the media has on public opinion. From the invasion of the Dominican Republic to the current war in Iraq Solomon explores ways the media is used to bolster support for military intervention. Series: Carsey-Wolf Center for Film, Television, and New Media at UCSB
Tiziano Terzani said in February 2002 (an interview with Luciano Minerva at Terzani’s house in Florence):
Affogarci perché questa volta la guerra è stata incredibile: è la guerra che è stata coperta fin qui dal maggior numero di giornalisti. Se uno guarda le pagine che sono state scritte, le ore di televisione che le sono state dedicate, forse è la guerra più coperta che sia mai esistita, eppure è la guerra di cui abbiamo saputo di meno. E’ una guerra non solo di bombardieri, di bombe intelligenti che poi facevano le stupidaggini come bombardare i civili. E’ stata una guerra di bugie, di grandi bugie, di mezze verità. E’ stata una guerra in cui il depistaggio delle informazioni è stato straordinario. Peshawar: un solo albergo, in cui sono concentrati tutti i giornalisti; una voce, una falsa notizia in fa il giro di tutto il mondo nel giro di pochi secondi, e tutti dal tetto di quest’albergo trasmettono questa bugia, questa mezza verità. Poi c’è l’impossibilità per i giornalisti di controllare, non hanno più il tempo di farlo: ventiquattr’ore su ventiquattro bisogna produrre qualcosa, così anche una bugia di cui poisi scopre che tale era, non viene smentita, perché c’è un’altra cosa da raccontare. Mi sono sentito come affogare perché era difficilissimo capire che cosa succedeva. Gli americano sono stati abilissimi in questo, perché hanno ben imparato la lezione del Vietnam. Quando un giornalista come me, italiano, che lavoravo per un giornale tedesco, è arrivato in Vietnam nel 1971, mi è stata data una identity card con la mia foto in cui c’era scritto: Tiziano Terzani, U.S. major, maggiore dell’esercito Usa. Non che comandassi le truppe, ma avevo la priorità di un maggiore per salire sui camion e sugli elicotteri per andare al fronte. E’ ovvio che con questo tipo di apertura, di generosità nei confronti dell’informazione, gli americani hanno perso la guerra a casa. Perché quando si andava al fronte a verificare qualsiasi notizia e a vedere quella cosa che la guerra è, orribile, era impossibile poi, col fattore moltiplicatore dell’informazione, che non si creasse a casa un fronte contro la guerra. E così la lezione è stata imparata benissimo. La guerra del Golfo è stata già tenuta molto lontana dai giornalisti, questa è stata tenuta ermeticamente chiusa ai giornalisti. Per la prima volta la verità, per così dire, è stata continuamente impacchettata. C’era sempre bisogno di quelli che gli americani chiamano ‘spin doctors’ perraccontarla. La verità non c’era, c’era solo il pacco e dentro c’era di tutto. Gli esempi sono straordinari. Pensi alle prime sequenze dei video delle truppe specialissime americane che non potendo più acchiappare Osama Bin Laden andavano alla caccia di Mullah Omar. Si vedevano tutti questi omini verdi, sembrava un videogame per dare l’impressione che la guerra non è questo orrore che è, è come se il morto poi si rialza e riparte. C’è stata una grande operazione americana, di grande abilità per turlupinare il mondo, per rappresentare il nemico come la cosa più orribile, più atroce, e per coprire qualsiasi magagna di questa nostra parte. Creava sgomento l’impossibilità di verificare i fatti. Uno come me, per mestiere per tutta la vita, ha cercato sempre di capire le ragioni degli altri. Nel ’73 sono uno dei giornalisti che passa le linee del fronte e va dai vietcong per capire „chi sono questi che mi tirano sempre addosso”, che mi costringono a sperare che i ‘nostri’ mi difendano. Allora anche questa volta sono voluto andare di là. Ed è stato difficile, ma sono riuscito a parlare con i jihadi, con i giovani che partivano per andare a combattere gli americani e ho poi rivisto i pochissimi sopravvissuti quando tornavano: di un gruppo di 43, in un villaggio fuori da Peshawar, ne erano tornati tre soltanto, tutti gli altri … fatti a pezzi dai B52. E’ interessante sentirli parlare, perché quello che sentivo dentro di me, che le bombe non uccidevano terroristi, ma creavano nuovi terroristi l’ho avuto davanti agli occhi. A uno di questi terroristi ho chiesto: ‘e ora lei cosa fa?’ ‘Aspetto ordini.’ ‘Ordini di che? E se le ordinano di mettere una bomba a New York?’ ‘Ah, ci vado subito’. E si deve capire questo perché bisogna sempre capire anche la logica del nemico, degli altri. Lui ha visto massacrare 40 persone, i suoi compagni, accanto a lui, uccisi dalle bombe scaricate da un uomo che stava a quindici chilometri di altezza. Come può pensare lui, nel suo modo di concepire la vendetta, di rifarsela con quell’uomo? Che forma può avere per lui la vendetta? Solo il terrorismo, perché l’asimmetria delle armi, del potere di quello lassù contro questi che non avevano niente per raggiungerlo, spiegano il terrorismo. Quindi l’unico modo per eliminare il terrorismo è eliminare le ragioni che spingono ragazzi come quello ora ad andare a New York e sognare di mettere una bomba in un supermercato.