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Allora questa è stata una cosa che mi ha molto,
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molto affascinato. Sono stato per tre mesi
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in un ashram senza che nessuno
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praticamente sapesse chi ero stato. C’era questo signore che aveva scelto di
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chiamarsi Anam, colui che non ha nome.
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E lo trovo bellissimo dopo una vita spesa a farsi un nome
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finire per non avere nome. Ed ero libero, leggero, nessuno che veniva
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a chiedermi “Lei è Tiziano Terzani? Ma cosa pensa della Cina?”
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„Cosa pensa del Giappone? Cosa crede, Sonia Gandhi diventerà primo ministro?”
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Non si sapeva da dove venivo, dove andavo.
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E questo è stato un buttare alle ortiche
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una cosa, come un vestito che ti sta stretto.
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E libertà, libertà, senso di leggerezza,
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ci sono poi cose bellissime. Sono cerimonie di funerale
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in cui tu muori come tale, salti sulla pira
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e quando sei dall’altra parte ti chiami diversamente
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e non hai più passato. E lasci la famiglia e vai nella foresta
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a meditare e a prepararti a un’altra ultima fase,
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che io non saprò e non voglio fare in verità,
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che è quella di abbandonare completamente tutto e
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dedicarsi esclusivamente alla liberazione dell’anima.
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Non voglio fare quest’ultimo passo perché è più grande di me.
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Io, per ritornare al tema che è stato importante nella mia vita,
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mia moglie. Io non posso rinunciare a quest’ultimo
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desiderio. Lo troverei scorretto,
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lo troverei sacrilego quasi; allora
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mi sono fermato alla fase della foresta.
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Ed eccomi qua. Questa è la mia foresta, questo è il mio eremo,
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non sono più nel mondo, non vedo
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in questa bella pace che è la pace
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dentro e la pace fuori.
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Vedi, sono andato in paese.
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Ho incontrato il vecchio parroco di questo paese
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che è un uomo carinissimo, 82 anni, e lo conosco da quando
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ero bambino e mi chiamava sempre perché andassi a messa e non ci andavo mai.
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Lei mi spieghi, gli ho detto, scusi, questa del corpo.
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Che voi promettete alla gente che un giorno suonano le trombe
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„Papapa” e tutti riprendono il loro corpo. Quale corpo dico?
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Quello di quando erano bambini o quello di quando erano adolescenti belli o
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di quando come lei, 82 anni, ormai senza capelli, un po’ acciaccato?
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E se tu ci arrivi gobbo? Storpio?
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Ti ridanno quello lì? Ma io ne voglio un altro, scusa.
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E poi abbiam parlato di Dio. Ho detto „Vedi, un’altra cosa
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che secondo me avete sbagliato proprio,
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c’è un errore di fondo nella vostra teologia”. Questa di dire
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che Dio ha fatto l’uomo
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a sua immagine e somiglianza; ma è una balla!
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Non l’ha fatto affatto a sua immagine e somiglianza. È l’uomo
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che ha fatto Dio a sua immagine e somiglianza.
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E gli ha messo la barba, l’ha messo su una nuvola, l’ha messo a giudicare
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e gli ha attribuito tutte le più orribili
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emozioni umane. Questo Dio vendicativo,
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cattivo, che ti guarda sempre.
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Ma tu pensa un po’. Tu commetti un peccato, lo offendi
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questo Dio e lui ti manda in Inferno
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per sempre! Non ti perdona! Per sempre.
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Ma chi c’ha questi sentimenti? L’uomo, l’uomo.
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Vendicativo, cattivo, orribile nei confronti dei suoi simili.
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A me divertiva in America, mi shoccava,
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guardare la televisione che guardavo ogni tanto per
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passare delle ore mentre facevo queste diavolerie.
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Allora, non so, avvenivano fatti come quelli
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della scuola di Columbine su cui meravigliosamente
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ha fatto il film e scritto Micheal Moore.
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L’America si shocca: un bambino entra in una scuola, spara ai compagni
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e l’America si shocca. Tutti scrivono, intervistano gli
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psicologi, chiamano gli psicanalisti
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e „come mai?”. Ma di che si meravigliano?
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Perché come di tu, c’era uno studio che non ricordo esattamente ma
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diceva che uno studio americano… diceva che un bambino
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normale, guardando le sue normali terribili
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lunghe ore di televisione al mondo, ogni anno vede
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4350 assassini, 2300 stupri.
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Per cui c’è da meravigliarsi poi se quello riproduce nella
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sua vita queste cose? Tutta la nostra società è fatta per dare spago
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alla violenza! E allora violenza produce violenza, non c’è
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niente da fare. Per questo anche il mio essere vegetariano
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è una scelta morale. Ma come si può allevare
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la vita per ucciderla e mangiarsela?
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in delle spaventose spaventose gabbie
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migliaia, migliaia e migliaia di polli
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a cui si deve tagliare il becco perché non becchino,
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impazzite come sono, le galline che ti stanno avanti?
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Come si può allevare un vitello,
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che è bello, un piccolo vitello,
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chiuderlo in una scatola di ferro, in una gabbia
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di ferro, perché cresca anchilosato dentro e la sua carne
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rimanga bianca? Tutto per ingrassare.
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Tutto perché possiamo avere anche noi…
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parte di questa realtà ce la possiamo mangiare.
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Hai mai sentito gli urli
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di un macello di maiali? E come puoi
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mangiare maiale poi? Impossibile.
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cose che qui in questo paesino, Orsigna, fanno molto
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senso perché come ti dicevo questo posto è
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un posto di ultima magia. Allora vedi quel nocio?
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Per me ci sono sempre le streghe su quel nocio.
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Ce n’era una stupenda. La chiamavano mille toppe
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perché si sposò con un vestito bianco e non se lo tolse
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mai per tutta la vita, ne lo lavò.
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Era una delle streghe. E chissà
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qual era la storia dietro. Lei non ebbe mai figli,
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era stata a servizio a Firenze da un signore
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il quale forse se n’era anche approfittato, per cui
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lei aveva perso quel senso di
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dignità che lei aveva e doveva scontare
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vivendo col vestito di nozze
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bianco che poi diventò grigio e poi nero
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Sai, l’umanità è un’altra. Quell’umanità
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era diversa; il marito di quella donna,
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da cui comprai quella terra, recitava
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a memoria la Gerusalemme liberata, la sapeva
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a memoria. E non che l’avesse letta, l’aveva sentita.
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sempre che gli alberi
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sono cose che si possono tagliare, che
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si può far legna. Allora a questo ho messo gli occhi.
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Sono occhi indiani, perché
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li mettono sulle pietre. Perché
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se Dio è dovunque, per renderlo visibile
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a una mente semplice bisogna che c’abbia degli occhi, che sia
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come un umano. Allora ho portato dall’India questi occhi e li ho messi
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a quest’albero e li ho messi per mio nipote
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così che gli potevo spiegare che quest’albero ha vita, c’ha gli occhi come noi,
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e che non è che si può tagliare così impunemente,
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che lui ha una sua logica di essere qui, che tutto
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ha il diritto a vivere, anche quest’albero.
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E se proprio un giorno andrà tagliato perché cade sulla casa
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o qualcosa bisognerà almeno parlargli, chiedergli scusa.
#4:
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È stato un momento drammatico.
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Mi ero isolato, facevo l’eremita.
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Non volevo più scrivere
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ma mi pareva questa volta infingardo,
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codardo non prendere posizione su una cosa così importante.
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Per me l’undici settembre…
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Diciamo così, io ho avuto una grande fortuna nella vita,
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quando la storia mi passava dinnanzi.
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Stavo su una spedizione nell’Unione Sovietica lungo un grande fiume Amur
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quando alla BBC ho sentito che c’era un colpo
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contro Gorbachov. Ho capito che qui cambiava la storia,
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che non andavo più in una spedizione
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e l’ho lasciata e ho fatto questo grande viaggio da solo
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attraverso l’Asia centrale e ho scritto „Buonanotte signor Lenin”.
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A Seigon l’arrivo dei Vietcong e dei comunisti,
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a Seigon, era un turning point
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era una svolta nella storia e non potevo
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che farne il testimone.
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Bene. L’11 settembre per me mi ha colpito proprio al petto,
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non soltanto per l’orrore che ovvio era su tutti gli schermi
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che ho visto, rivisto e rivisto mille volte,
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ma perché ho avuto la sensazione che era un momento
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di grande importanza storica per l’umanità.
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Perché mi pareva, e non sono convinto ancora
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che non avessi un po’ di ragione, che potesse essere
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il momento di una grande ripensamento, che dinnanzi
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a questo orrore che proprio grazie alla tecnologia
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arrivava nelle case di tutti, agli occhi di tutti,
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che non era una cosa di cui si sentiva dire,
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l’uomo, l’umanità potesse riflettere profondamente sulla sua condizione.
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Io stavo per tornare nell’Himalaya,
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avevo già fatto le valigie.
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Mi pareva ingiusto, mi pareva proprio
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come abdicare al mio senso di tutta la mia vita
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che è stata quella di coinvolgermi nelle grandi storie
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e allora mi sono rimesso in viaggio.
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Non ero più giornalista; non dovevo fare il pezzo di 120 righe
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che comincia in un certo modo.
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E infatti come hai visto ho scritto delle lettere
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contro la guerra. Non contro questa guerra che stava per venire
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ma contro tutte le guerre finalmente, perché dopo aver fatto
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per tutta la vita il corrispondente di guerra
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mi pareva fosse venuto il momento di dire che in verità
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mi sentivo ormai un uomo di pace.
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Proprio perché le guerre le ho viste.
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Ho visto i morti, i corpi martoriati, i villaggi distrutti,
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i cadaveri abbandonati sul bordo della strada
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a gonfiare e ad esser mangiati dalle mosche.
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Allora mi sono rimesso in viaggio,
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con il mio piccolo computerino
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e ho fatto… e ho scritto queste lettere per mio nipote,
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quello stesso per il quale ho messo gli occhi all’albero,
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dovrà decidere fra la pace e la guerra
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e secondo me la non violenza è l’unica chance
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che l’umanità ha di sopravvivere.
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Tu sai, io lo scrivevo una volta nel
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„Un indovino mi disse”.
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Mi piaceva l’idea che i problemi del’umanità
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potessero essere risolti un giorno da una congiura di poeti.
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Un piccolo gruppo si prepara a prendere le sorti del mondo.
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Perché solo dei poeti ormai,
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solo della gente che lascia il cuore volare,
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che lascia la propria fantasia senza la pesantezza del quotidiano,
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è capace di pensare diversamente;
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ed è questo di cui oggi avremmo bisogno, pensare diversamente.
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Non si può combattere il terrorismo uccidendo i terroristi,
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non serve a niente. Più terroristi nascono ora di quanti
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ne nascessero prima del 11 settembre.
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Per cui non potevo tornare nell’Himalaya a guardarmi l’ombelico.
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Ci sono tornato poi.
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L’ultima lettera è scritta dalla mia benamata
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baita nell’Himalaya. Ma dopo esser tornato nel mondo
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e riguardarlo con gli occhi di un vecchio
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che non ha più voglia di raccontarsi delle balle
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e che proprio perché non ha paura di essere preso per matto
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dice che la violenza si combatte con l’amore.
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I politologi, questi vecchi.
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Un vecchio vanesio fiorentino, come il professor Sartori.
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Quello che citavi al corriere, il Piero Stellino.
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I vari Mario Pirani.
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Tutti questi soloni che hanno visto il mondo che hanno commentato
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“Terzani è un utopista, la follia!”
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Benissimo, e quella è la loro utopia, quella è la loro follia.
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Vecchi! Vecchi che non sanno pensare nuovo!
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E sai dove ho incontrato i più meravigliosi ascoltatori? Fra i giovani.
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Questa è un’altra Italia. E questa è un’Italia… un’Italia?
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Un umanità sulla quale forse forse c’è ancora da sperare
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si possa costruire un diverso mondo e un mondo migliore per tutti.
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Ma che siamo americani? Io non sono Americano,
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io sono europeo dalla cima dei miei capelli ai miei piedi.
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Noi europei abbiamo ormai uno strano complesso d’inferiorità,
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di devozione verso l’America.
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Che è spiegabile anche dico, perché, somma,
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la seconda guerra mondiale, la fine del comunismo, la fine del fascismo, del nazismo e così via.
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Si dimentica sempre poi che accanto agli americani c’erano i sovietici,
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perché l’Europa e il nazismo non sarebbe finito se non fossero morti 20 milioni di sovietici
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in quella stessa guerra, no?
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Però noi ce l’abbiamo questo complesso
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e dire a uno “Ma tu sei antiamericano?” è come dirgli “Ma tu c’hai la mamma che fa la prostituta?”.
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Ma cosa vuol dire questo? Che io non mi posso permettere di dire che oggi questa puzzona d’America
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fa una politica spaventosa, che riporta la nostra civiltà indietro di centinaia di anni
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e che ha iniziato un processo di decivilizzazione dell’umanità che pagheremo carissimo?
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Un esempio: la tortura.
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Beccaria, nostro Beccaria, nostro. Non Americano. Nostro, italiano Beccaria!
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Europeo Beccaria! È arrivato alla conclusione che non si può torturare, mai!
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Bene, passano dei secoli e ora gli americani dicono “Beh, somma,
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no certo non si può torturare. Ma nel caso in cui si chiappi uno che potrebbe sapere una cosa,
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eh, bisogna torturarlo”.
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E allora? Dove va il principio?
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Dov’è il tabù? Dove finisce il principio?
[Brak ostatniej części napisów]
Film bez napisów:
http://vimeo.com/23033980
http://vimeo.com/23033980